Cannabis Light: Il Decreto Sicurezza è Inapplicabile per Violazione delle Norme UE

Davide Rizzoli • 7 maggio 2025

Dopo la carne coltivata, anche il divieto sulla cannabis light è nullo: il governo dimentica di notificare la norma all’UE, aprendo uno spiraglio per migliaia di imprese

Una recente svolta legale potrebbe salvare migliaia di aziende italiane operanti nel settore della cannabis light. L’articolo 18 del Decreto Sicurezza, che imponeva il divieto alla vendita del fiore di canapa, è stato infatti dichiarato inapplicabile per una violazione della normativa europea: il governo italiano non ha notificato la disposizione alla Commissione Europea, come previsto dalla Direttiva (UE) 2015/1535.

Perché la norma è inapplicabile

La Direttiva 2015/1535 obbliga gli Stati membri a notificare in anticipo alla Commissione Europea qualsiasi normativa tecnica che possa avere un impatto sul mercato interno. Il mancato rispetto di questa procedura rende automaticamente la norma nazionale non applicabile. In questo caso, l’articolo 18 del decreto non è stato notificato, violando quindi una condizione essenziale per la sua validità.

Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, una norma non notificata deve essere disapplicata dai giudici nazionali. Questo principio è stato ribadito in più occasioni, da casi come CIA Security International fino alla recente sentenza Papier Mettler Italia.

Un errore che si ripete

Ciò che rende la vicenda ancora più grave è che non si tratta della prima volta che il governo italiano commette questo errore procedurale. Lo stesso schema si era già verificato con la normativa che vietava la produzione e la commercializzazione della carne coltivata. Anche in quel caso, la legge era stata introdotta senza la necessaria notifica a Bruxelles, rendendola giuridicamente invalida.
Questa ripetizione evidenzia una preoccupante mancanza di attenzione nel rispetto delle regole europee, con conseguenze pesanti per interi settori produttivi e per l’immagine istituzionale del Paese.

La reazione del settore

Le principali associazioni italiane della canapa, tra cui Canapa Sativa Italia e Imprenditori Canapa Italia, avevano da subito sollevato dubbi sulla legittimità della norma e presentato ricorso presso la corte d'appello di Firenze. Ora, con la conferma ufficiale dell'assenza di notifica alla Commissione, il loro ricorso acquista una forza decisiva.

Secondo gli avvocati coinvolti nel procedimento, il giudice dovrà riconoscere la prevalenza del diritto comunitario, con la conseguente disapplicazione dell'articolo 18.

Una luce di speranza per migliaia di imprese

Si apre così uno spiraglio concreto per circa 3.000 aziende italiane del settore e per i 30.000 lavoratori coinvolti nella filiera. Molti operatori avevano già annunciato la chiusura o la sospensione delle attività, temendo pesanti conseguenze legali. Oggi, invece, possono riconsiderare la propria posizione, forti di una normativa europea che tutela il principio della libera circolazione delle merci e delle informazioni nel mercato interno.

Conclusione

Questa vicenda sottolinea l’importanza del rispetto delle regole europee nella produzione normativa nazionale. Il caso dell’articolo 18 del Decreto Sicurezza – così come quello della carne coltivata – non è solo una questione legale: è una questione economica, sociale e di civiltà giuridica. Il settore della cannabis light, perfettamente in linea con il diritto europeo, ha ora una possibilità concreta di continuare a esistere e crescere.

Autore: Davide Rizzoli 19 aprile 2025
Il recente Decreto Sicurezza 2025 , e in particolare l’articolo 18, sta sollevando forti preoccupazioni nel settore della canapa industriale e della cosiddetta cannabis light. Secondo il testo approvato, viene vietata una serie di attività legate alle infiorescenze di canapa , anche se con THC entro i limiti di legge (0,5%) . Tra le attività vietate troviamo: “l’importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l’invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze della canapa.” Una formulazione che rischia di compromettere l’intera filiera , coinvolgendo migliaia di aziende agricole, negozi specializzati, laboratori di trasformazione e distributori. Una norma che potrebbe violare il diritto europeo? Le associazioni di categoria Canapa Sativa Italia (CSI) e Imprenditori Canapa Italia (ICI) hanno annunciato il primo ricorso ufficiale contro l’articolo 18, sostenendo che il governo non abbia rispettato la procedura europea TRIS , prevista dalla direttiva 2015/1535 . Questa norma impone agli Stati membri di notificare alla Commissione Europea ogni progetto di regolamentazione tecnica che possa influire sul mercato interno. Secondo i legali delle associazioni, la mancata notifica potrebbe rendere inapplicabile l’articolo 18 , come già avvenuto in passato con altre normative bocciate da Bruxelles, come nel caso del divieto sulla carne coltivata. Le conseguenze per il settore  Il rischio immediato per molte aziende è quello di essere accusate di detenzione o spaccio di sostanze stupefacenti , pur trattando prodotti legali e con contenuti di THC regolarmente sotto i limiti. Molti operatori stanno valutando la chiusura o la delocalizzazione dell’attività all’estero. Secondo le stime delle associazioni, sono a rischio: 3.000 aziende italiane coinvolte nella filiera 30.000 posti di lavoro , di cui 10.000 stabili e 20.000 stagionali Un intero settore agricolo e commerciale costruito nel rispetto della legge E adesso? In attesa di sviluppi legali e del responso della Commissione Europea, la parola passa ai tribunali. Il ricorso è stato presentato al tribunale civile di Firenze e sarà seguito da una conferenza stampa alla Camera dei Deputati , prevista per martedì prossimo. Chi opera nel settore o ne è indirettamente coinvolto dovrebbe seguire con attenzione l’evoluzione del caso. La battaglia legale è appena iniziata, ma potrebbe cambiare il destino di un intero comparto economico. Un’eccezione tutta italiana? Mentre il governo italiano introduce divieti sempre più restrittivi nei confronti della canapa industriale e della cannabis light, gran parte del mondo sta andando nella direzione opposta. In molti Paesi, il dibattito si sta spostando dalla regolamentazione del CBD alla legalizzazione del THC, con un approccio basato su dati scientifici, evidenze cliniche e principi di riduzione del danno . Alcuni esempi: Stati Uniti : pur non avendo ancora una legalizzazione federale, oltre 20 Stati , tra cui California, New York, Colorado e Illinois , hanno legalizzato il consumo ricreativo di cannabis, creando un vasto mercato regolamentato e tassato a livello statale. Germania : ha legalizzato il consumo personale di cannabis con THC dal 1° aprile 2025, regolamentando anche la coltivazione domestica e la distribuzione tramite club autorizzati. Canada : è uno dei primi Paesi ad aver legalizzato il THC a livello nazionale già nel 2018. Portogallo : ha depenalizzato l’uso personale di tutte le sostanze nel 2001 e sta valutando modelli regolatori anche per la cannabis. Malta : ha legalizzato la coltivazione e il possesso personale. Lussemburgo e Paesi Bassi si muovono verso la legalizzazione con modelli pilota. Spagna ha una lunga esperienza con i Cannabis Social Club, tollerati in molte regioni. In questo scenario, l’Italia si pone come eccezione ideologica , agendo in assenza di evidenze scientifiche, ma con un impianto normativo che sembra rispondere più a logiche di propaganda che a una reale esigenza di sicurezza pubblica.
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